giovedì 4 luglio 2013

Introduzione alla storia dell'URSS

I volti dei principali leader sovietici.Venendo incontro agli stimoli preziosi e costruttivi dell'ideatore di questo blog, ho deciso di affrontare, insieme ai lettori che gradiranno accompagnarci in questo percorso di approfondimento, la storia del più straordinario e contraddittorio esperimento socio-politico della storia dell’umanità: la parabola dell’Unione SovieticaAlcuni potrebbero sorriderne e paragonare questo mio accanimento ad una inutile autopsia storiografica. Rispondo anticipatamente facendo notare che pochi paesi offrono alla voracità dello studioso una prateria così ricca di prede concettuali e argomentative. La ricchezza della straordinaria parabola dell’URSS risiede in primo luogo nella sua contraddittorietà, celata sotto la maschera dell'apparente monolitismo e nella equivoca natura delle vicende storiche fondamentali.



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Equivoco fu il 1917 con le sue due rivoluzioni: i bolscevichi guidati da Lenin (che poco tempo prima aveva augurato alle generazioni future di combattere per un socialismo che lui non avrebbe conosciuto) riuscirono a giungere la potere. Nel giro di pochi mesi prendere il potere in nome del socialismo in un paese arretrato e sostanzialmente pre-capitalistico come la Russia non era più né un utopia né una eresia teorica: la storia si poteva forzare

Tuttavia per molti studiosi questa forzatura fu foriera dei convulsi sviluppi successivi. La base materiale per la costruzione del socialismo era assente e a ciò si dovette rispondere con un irrigidimento del regime e con lo svuotamento dei caratteri essenziali della democrazia dei soviet: la rivoluzione continuava ad essere fatta per il popolo ma cessò di essere fatta dal popolo. 

La guerra civile e il “comunismo di guerra” furono ulteriori eventi che arricchiscono lo scenario di tragico materiale di studio e delineano il profilo di un potere che, attraversato da flussi storici profondi, muta la sua essenza per fronteggiare sfide sempre nuove. Gli anni venti si aprirono tra i dubbi di un’intensa elaborazione teorica: vinta la guerra civile, che cosa fare della rivoluzione? Come costruire il socialismo? 

Come colmare il gap che separava il livello della base materiale economica dalla possibilità di costruire un modello di sviluppo utile a tutto il popolo? Lenin e i vertici del partito decisero che tale gap andava recuperato attraverso una relativa liberalizzazione dei commerci nelle campagne: nasceva la NEP, un'altra tematica destinata ad avere una fortuna storica invidiabile. Ma la prematura morte di Lenin e l'inesorabile ascesa di Stalin aprirono il sipario decisivo della storia sovietica. Sarebbe stato il dittatore georgiano a dissipare ogni dubbio circa le modalità con le quali erigere le basi materiali del nuovo sistema.

La costruzione del “socialismo in un paese solo”, concetto già di per se singolare per un marxista, ci conduce a ritenere quanto fosse vera la “legge” di Kljucevskij, il maggior storico di epoca zarista, secondo il quale nel passato russo i cambiamenti avevano sempre condotto a risultati diversi da quelli attesi. 

Nel trentennio staliniano il solco, già scavato dalla guerra civile, tra realtà sovietica e sogni socialisti divenne un baratro che inghiottì milioni di vite umane.  Mentre il paese cominciava a riprendersi dalla tempesta del terrore staliniano giunse la mannaia dell’invasione nazista. Il regime ne uscì vittorioso, il partito mai cosi legittimato, il suo leader mai cosi osannato e onnipotente. Ma il popolo, che combattendo per la patria salvò anche il regime, maturò i sentimenti e il desiderio di un rinnovato protagonismo sociale. L’URSS conquistò una sfera d’influenza enorme: un boccone appetitoso ma difficile da digerire. La terribile gestione staliniana si concluse quindi con l’ennesima contraddizione: il trionfo del mito all’esterno, l’opacità e il rigido conformismo del regime all’interno.
La morte di Stalin giunse improvvisa e inattesa. I suoi successori si trovarono a gestire un fardello di criticità e contraddizioni assai complicato. Ad emergere fu un imprevedibile contendente: Nikita Chruščёv, che governò per circa un decennio. 

Il suo carattere fu composto da luci e ombre, proprio come la sua epoca. Dentro di lui convivevano la durezza e l’ottusità del navigato quadro stalinista insieme alla curiosità per le novità che un mondo in trasformazione sapeva offrire. Era consapevole dei difetti del sistema e di quanto fosse soffocante la cappa burocratica che avvolgeva la società, la cultura, la scienza e l’economia in URSS. 

Ma era altrettanto convinto che i progressi ottenuti dalla costruzione del socialismo in URSS andassero preservati, che gli oppositori del regime dovessero essere messi a tacere, che il ruolo di guida dell’URSS nel campo socialista non si dovesse mettere in discussione. Ebbe da solo il coraggio che tutti i suoi colleghi non ebbero quando annunciò al partito e quindi al paese e al mondo che Stalin fu il responsabile di crimini inauditi e imperdonabili. Ma le sue intuizioni si scontravano continuamente con le sue reticenze, e le sue aperture erano spesso seguite da precipitose rettifiche e dannose retromarce. La contraddizione segue la storia sovietica come l’ombra segue il viandante nel deserto. La costante ricerca di soluzioni condusse ad implementare il male che si voleva curare.

Fu quindi la burocrazia a porre la parola fine alle sperimentazioni kruscioviane. Dato che il “riformismo” portava a convulsioni di tutto il corpo economico e sociale, la casta sedimentata nei vertici della piramide sociale decise di bandire le riforme e il loro padre. Il nuovo faro sarebbe stato la “stabilità”. Nei 18 anni di gestione Brežnev il paese andò alla ricerca della quiete all'interno e all’esterno. 

Ma poteva la quiete addirsi ad un paese nato e costruito nell’emergenza e per l’emergenza? Poteva un’improbabile “stabilizzazione dell’esistente” motivare, ispirare e rendere ancora influente e attraente l’ideale socialista? La risposta negativa al quesito ebbe conferma efficace a cavallo tra gli anni 70 e 80: cinismo, inefficienza, corruzione, conformismo di facciata, mancanza di sperimentazione e di capacità introspettiva erano ormai i tratti distintivi di un sistema che invecchiava di pari passo con i propri leader. Fu forse per questo motivo che dopo tre vecchi decrepiti il compito di evitare la paralisi fu affidato ad un giovane cinquantenne.
Michail Gorbačëv non era un grande statista. Non conosceva i meccanismi profondi che minavano il sistema che presiedeva. Non aveva una ricetta precisa e coerente su come si dovesse riformare l’economia. In sei anni distrusse il proprio paese, minò l'economia industriale, e consegno l'impero sovietico alla concorrenza occidentale. 

Tuttavia riuscì in un miracolo per il quale tutti dovremmo essergli grati: tutto ciò avvenne praticamente senza spargimenti di sangue e senza una “balcanizzazione” violenta dell’URSS. Egli cercò di evitare ciò che era ormai inevitabile, ma lo fece nel rispetto dei principi fondamentali di umanesimo e democrazia politica che pose alla base della Perestrojka e della Glasnost. Forse, per condurre il feretro dell’URSS al capezzale della storia, era molto più indicato un capo mediocre e improvvisatore che non un tiranno spietato e irriducibile.

Nei prossimi post cercherò di analizzare in primo luogo la pesante eredità staliniana in quanto ritengo che sia impossibile comprendere il fallimento delle riforme e il collasso del sistema sovietico senza un’adeguata comprensione del fenomeno Stalin e delle sue conseguenze. 

Il sistema sovietico ha rappresentato per oltre sette decenni l’alternativa di sistema al mondo capitalistico. La sua edificazione non è stata un semplice incidente della storia ma l’affermazione politica della volontà di milioni di uomini. Evocarne le vicende non significa riesumare il cadavere  inutile e sepolto di un concetto che la storia ha relegato nel dimenticatoio della sconfitta e del fallimento, ma significa aprirsi un sentiero concettuale verso la comprensione di un sistema complesso e ricco di spunti critici.

Credo valga la pena interrogarsi su questi temi in un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo. Il sistema capitalistico vive una crisi penetrante e apparentemente inspiegabile. Come è possibile che dopo un trentennio di applicazione di dottrine economiche liberiste l'occidente capitalista sia entrato in un epoca di crisi cosi acuta? La domanda è lecita: secondo i massimi organismi finanziari mondiali le misure di liberalizzazione e privatizzazione attuate negli ultimi decenni avrebbero dovuto guidare la “mano invisibile” nel migliore dei modi. Invece, ancora una volta, ciò che si materializza innanzi a noi è uno scenario nel quale una strada alternativa al capitalismo comincia ad essere più un'esigenza che una provocazione visionaria


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AGGIORNAMENTO del 24-07-2013 I post di questa rubrica andranno sotto l'etichetta "storia dell'URSS in pillole". Potete già leggere il primo articolo: L'eredità del periodo staliniano: stalinismo e marxismo.

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