mercoledì 7 maggio 2014

Il tallone d'Achille: l'agricoltura sovietica di fronte alle riforme di Chruščёv


Un quadro del 1949, "Trebbiatura nella fattoria collettiva", del 1949.
Abbiamo affrontato ampiamente i fini e le modalità con cui Stalin edificò nelle campagne una forma peculiare di gestione agricola. Sappiamo che il sistema colcosiano rappresentò una sorta di servaggio delle campagne nei confronti dello Stato, in quanto costrette a consegnare una parte del raccolto, fissata arbitrariamente dal centro, a prezzi drammaticamente bassi. Il gruppo dirigente post staliniano ebbe una nitida consapevolezza della scarsa produttività del sistema e della centralità della coercizione nel suo funzionamento.

Tuttavia non mise mai in discussione l'essenza del sistema colcosiano, piuttosto si sforzò fin da subito di conferirle un volto più umano. Per questo motivo le prime misure prese dal governo Malenkov riguardarono proprio l'allentamento del cappio attorno al collo del contadino sovietico. L'urgenza delle riforme venne confermata dagli ammassi del 1953, pari a 31,1 milioni di tonnellate, una quantità inferiore a quella del 1940.

Le prime misure prese dal nuovo governo in materia agricola furono la riduzione delle imposte sugli appezzamenti individuali dei contadini, la sostituzione dell'imposta in natura con una in denaro e l'aumento dei prezzi d'acquisto per le eccedenze della produzione agricola. Gli arretrati delle imposte agricole degli anni precedenti furono annullati. Globalmente, la legge agraria dell’agosto del 1953 dimezzò i gravami dei contadini nei confronti dello Stato. Nel 1954 fu abolita l'imposta sul possesso di vacche e suini. Gli effetti di queste misure furono sorprendenti: nelle campagne la penuria acuta di generi alimentari cessò di colpo.

Ma soprattutto, dopo lunghi anni, il contadino sovietico tornò a credere nello Stato e a sperare in un miglioramento concreto delle proprie disperate condizioni di vita. Nei cinque anni successivi alle misure dell'estate del 1953 la produzione agricola lorda continuò a crescere di circa il 50%. La parte del leone continuarono a farla gli appezzamenti privati, sui quali i contadini cominciarono a passare più tempo. Sui campi collettivi si passava comunque il 60% del tempo di lavoro totale, durante il quale il contadino doveva soddisfare la quota media di 180 trudoden.

Tuttavia il miglioramento delle condizioni contadine, la trasformazione di molti colcos in sovcos, la loro concentrazione in unità dalle dimensioni maggiori, il decentramento delle decisioni di semina e il rispetto da parte dello Stato delle quote di consegna non si tramutò in un aumento della produttività. La produttività rimase ancorata ad un 8,4 quintali per ettaro, ancora inferiore agli 8,6 del 1940. In ogni caso il settembre del 1953 può essere ricordato come un momento di svolta nelle storie delle campagne sovietiche in quanto il nucleo della politica agricola staliniana fu abbandonato e i problemi agricoli divennero preoccupazione dominante del governo.



La messa a coltura delle 'terre vergini'


Nikita Chruščёv , primo ministro dell'URSS.
Fu in questo clima riformistico che Chruščёv lanciò la sua idea più ambiziosa sulla questione cerealicola. Dopo il cattivo raccolto del 1953 la situazione era tanto grave da richiedere soluzioni eccezionali. Fra Chruščёv e i suoi consiglieri maturò l'idea di mettere a coltura con metodi d'assalto vaste distese di terra arabile che erano inutilizzate nelle semideserte zone orientali del paese. Il programma incontrò alcune resistenze, ma fu approvato nei primi mesi del 1954, anche per mancanza di soluzioni alternative.

Inizialmente fu programmato il dissodamento di 13 milioni di ettari di “terre vergini” (Celina). Circa 300.000 volontari, in larga parte al di sotto dei 25 anni, furono incentivati a trasferirsi in queste zone disabitate per compiere l'impresa. Il progetto fu realizzato con le solite carenze, improvvisazioni e mancanza di studi adeguati sul campo, ma i primi risultati (le rese si aggirarono sui 9 quintali per ettaro) permisero a Chruščёv di ottenere l'approvazione per il dissodamento entro il 1956 di 28-30 milioni di ettari.

Più della metà dell'ottimo raccolto del 1956, pari a 125 milioni di tonnellate (una cifra mai raggiunta prima), provenne dalle “Terre vergini”. Zores Medvedev scrisse che l'impresa fu forse la più importante iniziativa kruscioviana ma è anche vero che nel lungo periodo il bilancio va ridimensionato alla luce delle contraddizioni emerse. L'impresa assorbì notevoli investimenti, danneggiando le zone cerealicole tradizionali e contribuendo all'esplosione della liquidità nel paese. La loro ottima resa iniziale, giustificata dalla ricchezza di un suolo integro, diminuì col tempo, contribuendo ad un aumento medio del costo dei cereali. Inoltre, trattandosi di terre marginali, esse furono sottoposte ad un forte processo di erosione e la loro messa a coltura ebbe un forte impatto ambientale.

Notevoli furono anche le conseguenze sociali. La forza lavoro selezionata per realizzare l’impresa non era composta solo da giovani pionieri o contadini entusiasti, ma anche da ex detenuti. Questa massa umana veniva condotta sui luoghi di insediamento dove ad accoglierla non c'era la benché minima infrastruttura abitativa. Presto brutalità, alcolismo e teppismo accompagnarono l'arrivo dei lavoratori, atteso dagli abitanti di queste regioni come una calamità biblica. Tuttavia, ancora oggi, buona parte della produzione cerealicola russa e kazaka arriva dalle “Terre vergini” kruscioviane.

Produzione di cereali nelle “Terre vergini”(in milioni di tonnellate) (1954-1964):

URSS
Terre vergini
Di cui Kazakhstan
1954
85,5
27,1
3,4
1955
103,6
37,5
4,6
1956
124,9
63,5
3,1
1957
102,6
27,9
17,6
1958
134,7
38,4
6,7
1959
119,5
58,5
14,3
1960
125,5
58,7
12,9
1961
130,8
50,6
10,3
1962
140,1
55,8
10,1
1963
107,5
37,9
-
1964
152,1
66,4
-



La destalinizzazione in campo agricolo


Dopo il XX Congresso furono introdotte nuove importanti riforme, come l'abolizione del minimo nazionale obbligatorio di trudoden e quindi la depenalizzazione del suo mancato raggiungimento. L'iniziale successo delle “terre vergini”, che sembrò definitivo, spinse Chruščёv ad abolire le consegne obbligatorie degli appezzamenti individuali. La misura, che creò giubilo nelle campagne, fu accompagnata da ulteriori investimenti e da un ulteriore aumento dei prezzi pagati agli ammassi. Queste misure tuttavia nascondevano l'idea che, visto il successo dell'agricoltura statale, si sarebbe potuto fare a meno degli appezzamenti individuali e accelerare il passaggio da una agricoltura in qualche modo mista ad una completamente “socialista”.

Trattori di un sovchoz, 1933.
Trattori al lavoro in un sovcos. Foto scattata nel 1933.
In questo quadro va interpretata la decisione di fine 1958 del plenum del Comitato Centrale di riorganizzare le 8.000 stazioni di macchine e trattori (MTS) e trasferirne la proprietà e il controllo dei macchinari direttamente ai colcos. Sappiamo che le MTS, costituite da Stalin alla fine degli anni venti, furono le fortezze del partito nelle campagne durante gli anni duri della collettivizzazione. Col tempo il rapporto tra colcosiani e MTS si normalizzò ma i contrasti tra le due realtà non svanirono mai del tutto. Inoltre i colcos erano obbligati a pagare alle MTS i servigi prestati nei campi con una parte del raccolto.

L'acquisizione da parte dei colcos dei beni e delle funzioni delle MTS parve quindi ragionevole, in quanto eliminava un dualismo negativo per lo sviluppo dell'agricoltura sovietica.  Il progetto, che nelle intenzioni del partito sarebbe dovuto essere graduale, conobbe una folle accelerazione. Alla fine del 1958, oltre l'80% dei colcos aveva acquistato i macchinari che fino ad allora erano appartenuti alle MTS. Questa precipitazione arrecò gravi danni alla produzione dei colcos, i quali dovettero spendere enormi somme non soltanto nell'acquisto dei macchinari, ma anche per la costruzione di strutture destinate alla loro custodia e manutenzione.

I colcos dovettero accollarsi anche il costo di carburanti e lubrificanti, nonché dei salari degli operatori delle macchine agricole che furono assorbiti dalle aziende. I dipendenti delle MTS non accettarono con entusiasmo il loro trasferimento perché questo rappresentava una caduta di status e di reddito. Molti di loro, forse la meta dei 2,2 milioni di trattoristi e meccanici, lasciarono le campagne, dando un duro colpo all'agricoltura e causando l'abbandono dei mezzi che si guastavano. Importante fu il danno arrecato all'industria dei macchinari, che dovette bloccare la produzione per lunghi periodi. Con la liquidazione delle MTS, essa perse il suo sbocco di mercato principale. I colcos, costretti ad usare tutti i fondi a disposizione per completare l'operazione, non furono in grado di acquistare nuovi macchinari. Un ulteriore seme avvelenato per gli insuccessi futuri fu quindi gettato.

Chruščёv osserva una pannocchia di mais durante il suo viaggio negli Stati Uniti.
Chruščёv osserva una pannocchia di mais
durante il suo viaggio negli Stati Uniti.
Significativa, per comprendere la mentalità e la natura del sistema, fu la campagna lanciata da Chruščёv per aumentare gli ammassi di carne. Per favorire queste misure si vietò nuovamente ai contadini che non facevano parte dei colcos il possesso di bestiame e si “consigliò” ai colcosiani di cedere al colcos il proprio bestiame privato. Come già successo nel passato, i contadini preferirono macellare il bestiame piuttosto che cederlo allo Stato. Il vertiginoso aumento della produzione di carne che ne seguì, salutato come un successo dalle autorità, rappresentava piuttosto la premessa della scarsità che sarebbe sopraggiunta nel breve-medio periodo.

Il buon raccolto del 1958 spinse Chruščёv a fare un ulteriore passo avanti. Egli, che aveva maturato negli anni una vera ossessione per il mais, spinse le regioni cerealicole tradizionali (le terre nere) a dedicarsi alla produzione di mangime per il bestiame. Ma non tutti i luoghi in cui ciò fu fatto erano climaticamente adatti alla nuova coltura. Inoltre essa, per essere lanciata su ampia scala, aveva bisogno di tecnologie agricole e di prodotti chimici che l'URSS non aveva.

Chruščёv lanciò anche una campagna contro gli appezzamenti privati, confermando tutta la sua ambigua e contraddittoria interpretazione del sistema che presiedeva. Nella sua ristretta e dogmatica mentalità la sopravvivenza della proprietà privata rappresentava un freno alla produttività, in quanto il contadino ne preferiva la cura, snobbando i campi collettivi. Per lui ciò era tanto più vero nel momento in cui l'agricoltura dava segni complessivi di miglioramento. Tuttavia questo miglioramento sarebbe stato impossibile senza l'allentamento del giogo di tipo staliniano sulle campagne, giogo che ora Chruščёv si apprestava ad applicare di nuovo, seppur in forme infinitamente meno brutali. Furono adottate misure per ridurre la superficie degli appezzamenti e la possibilità di coltivarli.

Nel 1964, dopo anni di rinnovate discriminazioni, gli appezzamenti disponevano solo di 7 milioni di ettari, contro i 482,7 del colcos e i 571 dei sovcos. La crescita di questi ultimi venne favorita da Chruščёv, che promosse la trasformazione in sovcos di tutti i colcos che erano prossimi al fallimento, confermando la strana legge sovietica per la quale le prime aziende a compiere il passaggio allo “stadio superiore” erano quelle meno produttive. Il bilancio statale ne uscì ulteriormente appesantito.



I problemi del nuovo corso


I frutti avvelenati delle incoerenti politiche kruscioviane furono colti già nel 1960. Il raccolto fu ottimo, pari a 126 milioni di tonnellate, ma incredibilmente gli ammassi andarono male e Mosca non poté mantenere le promesse di abbondanza fatte di recente alla popolazione. Questo perché le famiglie colcosiane, private di parte del proprio appezzamento e approfittando dell'ammorbidimento del regime, si impadronivano di parte del raccolto destinato agli ammassi per rifarsi delle perdite subite.

Un manifesto celebrativo della vita rurale.
Un manifesto celebrativo della vita rurale.
I rifornimenti alle città diminuirono e la distribuzione di risorse scarse, fatta attraverso una lista di priorità gerarchicamente strutturate, continuò in tutte le città sovietiche. Un infuriato Chruščёv cominciò a prendersela con i dirigenti delle repubbliche e contro i segretari regionali, ovvero proprio contro la base del suo potere. Egli, sotto la pressione di problemi aggravati dalle sue stesse politiche, stava cominciando a segare il ramo sul quale stava seduto.

Anche il raccolto del 1961 fu notevole, pari a 130 milioni di tonnellate. A segnare il passo era piuttosto la produzione di carne e prodotti zootecnici, colpita negativamente dalle politiche d'assalto del 1959 e dai colpi inferti all'allevamento privato. Il 1962 si aprì all'insegna delle difficoltà nei rifornimenti. Code infinite si accalcarono davanti ai negozi in tutte le principali città del paese. La produzione agricola era aumentata, ma ancor di più la domanda della popolazione urbana, favorita da una rapida crescita demografica e dai massicci investimenti pubblici varati dal regime. La rabbia della gente era notevole anche perché il potere non aveva rinunciato a pubblicizzare i suoi presunti successi e a rilanciarli con imprudenti promesse.

Chruščёv cercò di affrontare questi e altri problemi in un plenum dedicato ai problemi agricoli, tenutosi a Mosca dal 5 al 9 marzo del 1962. Nella sua relazione esortò ad una riduzione delle semine di avena e di colture erbacee, nonché ad una riduzione delle superfici lasciate a maggese, e ad un aumento delle semine di granoturco, barbabietole da zucchero e leguminose. Al plenum venne proposto anche un nuovo sistema di gestione dell’agricoltura. Il centro di gestione e direzione di colcos e sovcos, che era situato a livello dei rajkom, venne ampliato, creando dei centri di gestione specializzati che avrebbero dovuto coadiuvare e consigliare le aziende. Questa riforma produsse un doppione burocratico senza contribuire a incrementare la produzione agricola.

Un altro grave problema era rappresentato dal fatto che, nonostante il costante rialzo dei prezzi all'ammasso a partire dal 1953, in molte regioni del paese i prezzi pagati dallo Stato per i prodotti agricoli erano ancora inferiori ai costi di produzione. Quindi, per le aziende, aumentare le vendite allo Stato significava aumentare le perdite. Per far fronte alle perdite le aziende dovevano scaricarle su altre produzioni e in particolare su bestiame e allevamento.

Chruščёv decise di incrementare ulteriormente il prezzo pagato agli ammassi ma decise di finanziarne l'aumento maggiorando i prezzi di vendita per i consumatori di prodotti di base come carne, burro e latte. I malumori che questi aumenti scatenarono nella popolazione sfociarono negli scioperi e nelle dimostrazioni degli operai di Novočerkassk, di cui parleremo. L'analisi di questi eventi ci riporta alla centralità dei prezzi nel sistema sovietico. La possibilità di manovrarli per conferire all'economia maggiore equilibrio tra domanda e offerta era certamente una strada auspicabile e avvertita con urgenza da molti economisti. Tuttavia l'impatto degli aumenti su una popolazione che era politicamente e psicologicamente portata a giudicare i prezzi bassi dei generi essenziali come l'unico, autentico prodotto del socialismo realizzato, fu devastante. I dirigenti moscoviti si convinsero ben presto che toccare i prezzi significava giocare col fuoco.

Realismo socialista: la direttrice del colcos,
di Grigorij Riažskij, 1932.
Nel 1963 la siccità colpì la Russia centrale, la Siberia, l'Ucraina, il Kazakhstan e la Transcaucasia : il raccolto tornò bruscamente ai livelli del 1955.  Il fenomeno non si poteva spiegare solo con la siccità. I terreni in cui fu preservata la maggese risultarono di gran lunga più produttivi di quelli nei quali fu abolita. L'iniziativa del granturco si risolse in un grande fallimento, mandando sul lastrico parecchi colcos delle terre nere. Nelle Terre vergini si stava verificando una vera è propria catastrofe ecologica, in quanto milioni di tonnellate di terriccio fertile vennero rimosse dai campi dalle tempeste di vento, sterilizzando il suolo. Chruščёv, che aveva legato il suo nome e la sua reputazione alle promesse di abbondanza e benessere, si trovò davanti a problemi inspiegabilmente irrisolvibili.

Le ultime grandi iniziative nel settore agricolo furono la costituzione di un sistema pensionistico universale anche per i colcosiani e la divisione categoriale del partito in un settore industriale e in uno agricolo. La prima iniziativa, che ebbe come movente la volontà del regime di avvicinarsi alla sua immagine ideale, non poté comunque bilanciare i danni inferti negli ultimi anni al modo di vita contadino.

Troppo onerose erano state le politiche contro gli appezzamenti privati e  troppa confusione era stata introdotta nel governo dell'agricoltura. La seconda fu probabilmente mortale per Chruščёv. Egli si fece sempre più arrogante e sempre meno disposto a consultarsi con i membri del Comitato Centrale e l'idea di dividere il partito, per giunta in maniera cosi grossolana, non poteva essere digerita da una burocrazia cresciuta nel culto dell'unità monolitica. Nel rapporto del plenum dell'ottobre 1964, che lo costrinse al pre-pensionamento forzato, i suoi accusatori non rinunciarono a rinfacciarli i risultati delle politiche agricole e la condizione dei contadini.



Un primo bilancio


Nonostante tutto l'URSS dalla quale Chruščёv usciva di scena era un paese nel quale i redditi contadini erano raddoppiati rispetto al 1953. Egli cercò di porre le basi per il passaggio dallo Stato totale qualitativo staliniano ad uno Stato totale quantitativo attento ai bisogni della popolazione. Ma mentre una gamba era solidamente posta dentro i confini del nuovo Stato, l'altra restava tragicamente piantata nelle sabbie mobili del vecchio.

La contemporanea presenza di stimoli alla produttività e di vecchie prassi vessatorie allontanò, nel medio-lungo periodo, i contadini dall'amore per la terra e dalla voglia di progettualità, cosa che non impedì loro di profittare dell'ammorbidimento complessivo del regime e dei suoi tratti assistenzialistici.  La relativa vitalità con cui il mondo contadino rispose alle nuove opportunità concesse dal potere dimostra che, se le riforme fossero state condotte con razionalità e coerenza fino allo smantellamento del sistema colcosiano, le campagne avrebbero potuto innescare un processo di trasformazione e trascinare con loro tutta l'economia del paese.

Anche per questo quando si ripensa agli anni di Chruščёv è lecito affermare che la salvezza del sistema era ancora possibile. L'occasione non si sarebbe più ripresentata e la stagnazione del sistema agricolo, che fin dal 1963 rese inevitabile  l'importazione di cereali, diverrà il tratto peculiare del sistema fino al suo collasso.

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